martedì 10 aprile 2012

come dormi? come dormi la notte? cap. 12


CAPITOLO 12 – wild horses


ci vuole molto tatto. né bisogna fare delle affermazioni brusche. ci vuole una grande pazienza, ma non si può andare via.

(john fante, full of life)


i due eventi straordinari, la nascita del figlio di alcisa e il mio distaccamento dovuto al nuovo lavoro, invece di dividerci, ci unirono ancora più. era la para di alcisa, sapeva che ero costantemente in cerca di lavoro, un curriculum qua, uno la’, un’occhiata ai concorsi, piano piano, senza esagerare, senza far rumore. ma intanto cercavo, alla seabo ero a tempo determinato, d’altronde. non posso dimenticare la sua feroce gioia di quella volta che tornai dopo un fallimentare colloquio di lavoro a colà di lazzise, profondo nord. quella volta sembrava che facessi sul serio, ero partito al mattino presto per essere sicuro di trovare il posto per tempo. risultato, avevo il colloquio alle 17 e a mezzogiorno ero già davanti al cancello dell’azienda. cinque ore che spesi facendomi un campari nel primo bar, poi ci fu un pranzo in cui cercai di prenderla oltremodo lunga. evitai di bere vino, ma poi conclusi con caffè e montenegro. il resto del tempo lo passai da un bar all’altro a bere caffè corretti, tra partite di carte tra vecchi indigeni e lettura di quotidiani. insomma, arrivai all’appuntamento con uno smaronamento interstellare. dimenticai di impormi di rimanere concentrato durante il colloquio col selezionatore, sapendo del mio vizio di distrarmi nei miei viaggi ogni qualvolta che mi tocca sentire la voce altrui. tanto per dire, ci fu un momento in cui mi persi nella sequenza degli stabilimenti balneari di bellariva di rimini, bagno 89 tonelli 90 leandro 91 cosmos 92 luciano 93 gilberto… quando d’improvviso mi svegliò il silenzio (cit.)
“ebbene..?”
“uh?! ebbene cosa?”
“come ebbene cosa. le ho appena fatto una domanda!”
“ah. non saprei, è che, vede ecco… mi sa che non sono sicuro di avere ben afferrato il concetto. me la può riformulare, la domanda?”
game. set. match.
poi altro giro altra cazzata nel bel mezzo di una questione a risposte chiuse, proprio mentre stavo ragionando sulla disposizione degli alcolici dietro al bancone dell’old west pub: havana club 7 anos, pampero, varadero, glen grant, j&b, jack daniels.. ascoltai solo metà dell’opzione b e la c. non sapevo neanche a proposito di cosa.
“dunque, dottor bitossi. in questa situazione, lei farebbe come da a, b, o c?”
cazzo. quale situazione? vabbò..
“beh, dunque… la a, direi. sì, sicuramente a”
“a?!”
“no?”
“non è un quiz. sto cercando di capire la sua personalità”
“ah. ok. allora confermo l’opzione a, sicuramente a. sperando che da ciò non si evinca che sono pazzo ah ah ah… eh!”
e poi il gran finale
“mi dica… come vede il suo futuro?”
la buttai sul folklore, tanto oramai. una volta ad un colloquio di lavoro mi aveva detto bene buttarla sul folklore, sul finire del militare, settembre 1991, quando avevo intenzione di mollare l’università, seppur che durante l’anno da matricola avessi fatto il pieno degli esami. poi avevo dovuto interrompere il percorso accademico perché chiamato a difendere il patrio suol. non avevo fatto il rinvio, certo che uno stronzo come me mica lo avrebbero mai chiamato. e invece. orsù, comunque, quella volta a bentivoglio, la tipa che scannerizzava il mio io mi pungolava acida, ma serafico ribattevo con sfrontata sicurezza. mi chiese se avevo amici.
“certo che ho amici”
“e lei nella sua compagnia che ruolo ricopre?”
terzino sinistro”
“non faccia lo spiritoso. lei potrebbe definirsi il leader, all’interno della sua compagnia?”
“no”
“no?”
“no. il leader è guimaraesh”
“e chi è ‘sto guimaraesh?!”
“come chi è ‘sto guimaraesh!”
“dovrei saperlo, a suo avviso?”
“sì. dovrebbe… tutti sanno chi è guimaraesh”
insomma, mi offrirono il posto. che rifiutai per riprendere gli studi.

ora, tornando al 1997, alla domanda sul futuro, risposi
“una moglie, un figlio, un cane”
“io intendevo in senso professionale”
“mah, non saprei.. io non sono molto ambizioso”
“come non è ambizioso!”
“no. non lo sono”
“ma lei deve-essere-ambizioso!”
“ah. ok. magari ci ripenso”
“dunque?”
“non so. non mi piace il futuro. mi affatica il solo pensiero”
“ah! e le sembra positiva questa affermazione?”
“non saprei. a me piace, però. non è neanche mia. è di andrea pazienza”
“ahhhhh! andrea pazienza…”
“già. un grande. forse il più grande pensatore del novecento”
“mi sembra quantomeno discutibile questa cosa che ha appena detto”
“ah. sì, forse ho esagerato un po’”
alla fine non mi disse neanche le faremo sapere.
manco mi disse se ne vada a cagare. ma questo almeno lo avrà pensato.

tornai in tempo per il match di eurolega tra la virtus e l’alba berlino. strano, ma mi sentivo benissimo. dentro di me c’era una parte pragmatica che mi imponeva di trovare una sistemazione professionale e sociale stabilizzata. la metà irrazionale non voleva rinunciare alla provincia e alla provincialità di bologna, ai bar, ai laghetti, ai fiumi, alle tigelle e crescentine e lambrusco e pignoletto. ad alcisa, alina, il nuovo arrivato. alla mia famiglia, insomma. quella volta la seconda parte prevalse per cappotto. uscito dal palamalaguti, quella notte, mi fermai a dormire sul loro divano. alcisa non stava nella pelle dalla gioia che mi avesse detto male, mi insultava e mi riempiva il bicchiere di vino in continuazione e mi allungava fette di salame e crackers e paglie.
“ma dove cazzo vuoi andare te? te è meglio che rimani dove sei. pensi di essere così più bravo? non vedi che non ti prende nessuno?”
“non è questo il punto. ohi, ciccio-panzo, io sono a tempo determinato.. do you remember?”
mi diede un colpo forte con le nocche del pugno sulla testa
“senti, diu rimella, la prossima volta che mi dici ciccio-panzo ti do una scoppola”
mi tenevo il palmo della mano dove mi era arrivato il colpo con una espressione sofferente
“prossima volta il cazzo. mi pare che me l’hai data”
“la prossima volta te ne do due”

dunque, quello che comunque alcisa più temeva era infine accaduto. nel dicembre 97 smettemmo di essere colleghi, ma questo non fu poi di ostacolo. si parlava già di come avremmo passato il natale, la festa di capodanno, e del battesimo del piccolo albino.
eravamo due cavalli imbizzarriti, e non riuscivamo a credere che cosa mai avrebbe potuto fermarci o dividerci.

1 commento:

  1. ti ho citato qui
    http://cizou.iobloggo.com/162/da-john-fante-passando-per-mirko
    ciao

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