domenica 26 agosto 2012

due gambe, due metà di un cuore - scanno 2012


due metà di un cuore
non fanno un cuore
(cristiano b.)

credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei eddie merckx
(freccia - stefano accorsi)

  
ciao mi chiamo cristiano bitossi, ho 42 anni e porto il 48 di scarpe. conosco a memoria la formazione dell’olanda di monaco 74, ho un lagotto romagnolo che si chiama tommy, come il protagonista della maestosa omonima opera rock degli who, ma fino all’ultimo sono stato indeciso se chiamarlo cruijff. mi riesce bene andare in bici, dicono che vado forte in salita. forse è questione di perseveranza, di attitudine giocoforza acquisita. chè avevo una ragazza che era tutto per me, in un giorno di novembre lei mi guardò negli occhi e mi disse mi spiace, non ti amo più.

ed io
naturalmente
sprofondai.

sprofondai negli umani abissi che sono quegli abissi in cui sprofondano gli umani per certi accadimenti. ci rimasi parecchio, là sotto. ce ne avrei da dire, ma non è tempo e luogo. per farla breve, sono risalito pedalando. su, su, ancora su. da quando ho cominciato a risalire, non ho mai smesso di far girare i pedali. chè se succede, se smetti di pedalare, inevitabile succede che cadi, cadi giù.
laggiù, io, non ci voglio tornare.

 
dall’archivio cartaceo del sig. cristiano bitossi

30 luglio 1994, sabato
sgambata in bici per provare le gambe. praticamente le grandi manovre in attesa di domani. ho una fottuta paura, la strada da fare è tanta. crampi, stanchezza, forature, buio, incidenti, e che altro. ho tanta paura, ma il dado è tratto.
 
31 luglio 1994, domenica
partenza alle 4:36 del mattino, con le gambe che mi tremavano dalla paura. più volte pensato di tornare indietro fino a forlì, lì ho capito che era fatta. arrivato a cesenatico alle 8:53. vagato qua e la’ per almeno tre ore e mezza, poi le ragazze mi hanno visto dal terrazzo del loro appartamento. son rimasto lì a mangiare, rebecca è stata veramente fredda, ormai non gliene importa più niente di me. ripartito ore 14:32, arrivato a casa alle 19:50. molto felice, anche se rebecca non mi ha calcolato.

nell’estate del 1994 uscivo a pezzi da una storia di 6 giorni con rebecca. frequentavo disordinatamente il quarto anno di chimica industriale, avevo valicato quel monolite di chimica fisica due, poche ore dopo che roberto baggio aveva calciato quel calcio di rigore (ma non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore). lei, rebecca, aveva affrontato gli esami di maturità, dopodiché se ne era partita per cesenatico con le compagne, oramai ex tali, di classe. non sapevo dove cacchio fosse, dove alloggiasse, tranne che da qualche parte a cesenatico. una mattina me ne partii da bologna con una due ruote poco competitiva alla volta del mare, alla ricerca di lei.
o di non so che cosa.


(pochi giorni fa, 18 agosto 2012)

certo è lontana molto più di un anno quell’emozione dell’agosto precedente. non conoscevo quasi nessuno, un anno fa, ma temevo che gli altri tutti sapessero di me. sai, le chiacchiere di paese. qullù? ah, qullù è chill che shtave con blabla, s’ha venute da bbolognn, ma poi lei l’ha lassatee..
ancora un anno fa provavo un senso ben oltre il pudore, quasi di vergogna nel farmi vedere in giro per il paese. e infatti non uscivo mai. e infatti non mi conosceva quasi nessuno, infine e a dire il vero. e poi c’era una badilata di considerazioni correlate alla pedalata, fattore certo non trascurabile: partire da alanno con un gruppo consolidato, dover affrontare (uh!) più di 70 km, le salite, ma ce la faccio, ma gli sto dietro a questi, e se poi non ce la faccio, ma come si pedala in gruppo, ma poi, se foro, chi me l’aggiusta. e arrivato lassù, la mangiata con mezzo paese in trasferta che sarebbe partito con auto e camion carichi di fornacelle e arrosticini e salsicce e quant’altro.
e poi bevo. e poi scazzo parole sciocche. mi sentirò a disagio, dirò cose inappropriate e inopportune, diranno male di me, in paese, lei verrà a sapere e penserà per fortuna che l’ho mollato ‘sto sfigato
sii fatt a’bbone dottorè sii fatt a’bbone qullù è nu shtupitò nu cuiò dottorè…
oh
my
god
!

ma quest’anno è tutta altra storia. è passato un anno, faccio ormai parte della polisportiva in via ufficiale, sono uno di loro, indosso la loro stessa divisa della società, e scanno mi sembra una delle tante uscite sulla bici, anzi una delle meno scomode, mica troppi km, pendenze affrontabili. e seguirà una delle già vissute mangiate e bevute. nessuna timidizza. niente voce strozzata, mani che tremano, rossore, occhi che guardano le comete marine.
la sera prima della partenza sono a casa del mio vicino, il metronomo. devo mollargli un bric da 5 litri di pecorino e due salami presi in offerta speciale al supermarket, arriveranno a scanno by car moglie al volante. è il mio contributo per la baldoria post.
il bric non entra nel frigo, per far spazio il metronomo toglie acutamente una moretti 066 ed è presto stappata, ci accomodiamo in veranda nell’ora del tramonto
salutt
salutt
butto giù il primo sorso, faccio schioccare la lingua sul palato ed emetto un ahhh di soddisfazione
allora, quante biciclette siamo poi alla fine, domani? chiedo
mah, 15-16…
il dandy non viene poi, eh?
no, macchè..
cazzo! niente dandy.. e l’accademico?
manco lui, e neanche il nobiluomo..
annamo bene…
eh, quesshtè!
poi passiamo in rassegna tutti i partecipanti alla pedalata, questo c’è, quello no.
de i “quelli di un’altra categoria”, ci saranno il campione, la locomotiva, e il missile. poi anche l’inossidabile, che a mio dire sta in gran forma, e qualche dì fa ai navelli è riuscito nell’impresa di non farsi staccare dalla locomotiva dopo uno dei suoi soliti scatti, uno di quegli scatti che ti lasciano sul posto, e la locomotiva in 2-3 minuti diventa un puntino dell’orizzonte lontano, lontano, lontanoooo…
e poi ci saranno pure due outsider: il figlio del francese, ed il genero del missile. vabbò, dovrei arrivare tra l’8 e il 10, medito
(sì lo so non è una gara non è una gara è un ritrovo ciclistico conviviale. ma poi alla fine tutti, dai che è così, tutti dicevo, fanno i conti di quanti ne hanno davanti e quanti dietro. uh! ahivoglia! è sana competizione, ci sta. oh, se no andiamo direttamente a pentirci alla processione tutti dietro a don giglio che posto ce n’è, eccheccazzo!)
comunque anche tu è un periodo che vai bene, mi dice il metronomo
sì è vero, sto in forma in ‘sto periodo. vedremo…
poi parliamo d’altro, ed è subito cena.
saluto il metronomo e cammino quei pochi metri che mi separano da casa, è tempo di cheffare. mi preparo un piattone di spaghetti al salmone, ci butto dietro qualche bicchiere di un rosso non catalogato, e tranquillo mi sdraio sul letto. guardo un film alla tìvù, controllo di aver puntato giusto la sveglia, spengo la tìvù. cerco di addormentarmi, vanamente. accendo la luce, leggo un po’, accendo la tìvù, spengo la tìvù, spengo la luce, ascolto il buio. inspiro, espiro. penso a lei, un po’.

al ritrovo sotto a ticchione il presidente impartisce bene le regole: si va insieme fino ad anversa degli abruzzi, senza forzare e passo regolare, mantenere la destra e procedere in fila allineati. ad anversa si prende il caffè al bar della piazza, poi chi vuol partire faccia il cazzo di comodo suo, ci si vede poi su, a scanno, ci si aspetta giusto un po’ prima per arrivare uniti in parata
foto di gruppo, alle nostre spalle la fontana di ticchione, e si parte.
beneomale, si rispettano i patti impartiti alla partenza. la locomotiva scalpita, morde il freno, si butta avanti, il campione ed il missile rispondono sempre pronti, di tanto in tanto prendono un circa cento, duecento metri, poi si fanno riassorbire. si fa una breve sosta a popoli per riempire l’acqua nelle borracce e qualcuno piscia. uno molla un rutto e un altro una scoreggia. e poi di nuovo sulla strada.
tutto sembra procedere secondo i piani, ma prima di introdacqua si percepisce oltre ogni ragionevole dubbio che proprio non si possono più tenere a freno i fuoriquota. allora il presidente scioglie le briglia e dice vabbò chi ne ha vada ci vediamo al bar di anversa per il caffè.
apriti cielo
la locomotiva parte a razzo, mi chiedo come non gli si rompa la catena quando esplode tutta quella potenza, gli si mettono dietro il campione, il missile ed il genero. parto anch’io, mi alzo sui pedali ed esco dal gruppo. provo a prendere la coda dei fuggitivi, ma ogni sforzo è vano. passo da un rapporto all’altro, ma non funziona. non funziona mai, così. perdo strada, anzi dopo un po’ sento da dietro che arriva qualcuno. è il figlio del francese con l’inossidabile, mi passano e riesco ad attaccarmi alla loro scia. l’inossidabile comincia a spingere sui pistoni nucleari, sudo porco per stargli attaccato dietro, il figlio del francese pare non soffrire quel ritmo, incredibile ma guadagnamo su quelli davanti, metro su metro, ce li abbiamo a tiro, li bracchiamo, li prendiamo. l’inossidabile sembra stremato dallo sforzo, e quando la locomotiva riparte, cede. mi spiace, mi ha riportato nel gruppo di testa proprio lui, ma così succede. rimaniamo quindi: la locomotiva, il campione, il missile, suo genero, il figlio del francese, e il me medesimo cristiano bitossi. così, più o meno, arriviamo alla piazza di anversa degli abruzzi.
sosta caffè, acqua fontana, foto, un turista in retromarcia ribalta un tavolino fuori del bar, una bella figa probabilmente dell’est mi fa esternare un mo soggnia che gnogghiaaa mentre mi strafogo con un cornetto al cioccolato dolce un po’ salato tu cornetto al cioccolato. mi cola di lato un rivolo di saliva nera. me lo tolgo col dorso mano guantata.
si riparte, e non c’ho capito un cazzo. tengo un passo spinto per quelle che sono le mie possibilità, non ho idea di dove siano gli altri, chi davanti, chi dietro, siamo ripartiti in ordine sparso, così, ad minchiam. in realtà, senza accorgermene senza volerlo, gli altri son tutti dietro. tiro forse una decina di minuti, forse un quarto d’ora, poi mi sfilano via la locomotiva, il campione ed il missile. ma se mi hanno passato adesso, ma allora chi sta davanti, mi chiedo. nessuno, mi rispondo. siamo noi, davanti. incredibile, riesco ad attaccarmi. il ritmo è alto, ma sto bene, procediamo che sembriamo la chitarra flamenca di brian may dei queen in innuendo, ma non cedo. immagino che prima o poi la situazione si farà insostenibile e dovrò mollare, chissà quando chissà dove. e invece non succede. non devo manco farmi i film, quei film che mi faccio quando le gambe non riescono a sostenere il passo, e per ritrovare forze invisibili penso a eddie merckx che in mondovisione dichiara che sono il suo erede naturale, allegando documentate valide motivazioni. oppure mi vedo trionfante all’arrivo abbracciato e lei che dice perdonami mica sapevo che pedalavi così forte mi sa che ti amo ancora voglio tornare con te. e non ultimo nella mia cabeza ci stanno hemingway, john fante, de andrè, la pivano, alda merini syd barrett john lennon george best e shanny l’ameregano seduti su sgabelli al bancone di un fumoso nebbioso pub irlandese a bere pinte di guinness tra una paglia e l’altra a battere i pugni sul tavolo fracico urlando vai bitossi vai cazzo vaiiii!! no, questa volta non c’è bisogno, ci sono le gambe, non c’entra la testa, la fantasia, non c’entra il cuore, un cuore spezzato in due, e quindi non un cuore, che due metà di un cuore messe insieme non ne fanno uno. ci sono le gambe e bastano, anche quando a pochi kappaemme dalla fine, la locomotiva si lancia a tutta, si aggrega il campione, il missile ha problemi di schiena e deiste, ed io che spingo un rapporto durissimo e riesco quantomeno a mantenere una minima distanza dovendo rinunciare a prendere la ruota di quei due diavoli davanti. ma arrivati lassù, non posso che rimanere stupito di come ho pedalato, e come i bambini faccio ooohh.

si finisce tutti insieme, si arriva in gruppo e c’è la gente del paese che ci sorride e ci fa foto. l’ammiraglio chiede subito una birra, e presto parte la beveria, e parallele partono le rimostranze delle mogli. ci asciughiamo via il sudore, indossiamo pantaloncini e magliette fresche, e siamo pronti per la grande, solita, abbuffata paesana. non mancheranno affettati formaggi timballi arrosticini e salsicce, montepulciano doc e pecorino igt, a profusione. panche e tavole già apparecchiate con ogni bendiddio mi riportano al villaggio gallico di uderzo. io sarò obelix. un po’ più magro e rock.
 
Photo: 19-08-12 partenza da ticchione per scanno. bellissima giornata. grà-ziè!
(prima della partenza - ticchione)
 
Photo
(scanno - 'na biretta)
 

(scanno)

 

venerdì 10 agosto 2012

da zero a cento


al pub, alle ventitre, dopo il cinemultisalafilmunpodelcazzo
cristiano bitossi: sì vabbò, sono otto volte che usciamo, quattro nelle ultime tre settimane… io vorrei che facessimo, come dire, un salto di qualità, ecco vorrei che… dunque, da zero a cento, come sto messo adesso?
lei: cioeeèè..?
cìbì: come cioè! mo se già te l’avevo spiegata qualche giorno fa! orsù, in una scala da zero a cento, zero è ghiaccio fondente, cento è ebollizione, come sto messo, voglio dire, quantificami lo stato del… dove la metti, l’asticella, eh? a che punto sto, nel tuo..
lei: meno venti…
cìbì: ma come?! l’altra volta mi avevi detto zero, e mo meno venti?
lei: l’altra volta ti avevo detto no comment
cìbì: ah ma allora ti ricordi! vabbò... e no comment è meglio o peggio di meno venti?
lei: perché lo vuoi sapere?
cìbì: devo capire se sto facendo progressi
lei: mahh... più o meno è la stessa cosa
cìbì: vaccaboia, se la vedo dura…
lei: devi aspettare. credo che ti ci vorrà un anno
cìbì: un annooohhh!? e magari a partire da ora, eh?
lei: certo. a partire da ora
cìbì: ma non potremmo fare a partire dal nostro primo appuntamento? cos’era? gennaio? no, dicembre.. quindi gennaio, febbraio, marzo e aprile… dai, ancora otto mesi allora
lei: no-nooò! un anno da a-de-ssò! ohi, non credi che io meriti che si aspetti un anno, eh?
cristiano butta un'occhiata alla sua birra, ce n’è ancora un pochetto, mezza ammosciata e calda, se la scola a piomba. guarda oltre la lei per intercettare la cameriera per un bis di doppio malto scura, appena è a tiro alza l’indice e dice “scusi…”
bella figa, la cameriera, tra l’altro. per lei sì che aspetterebbe un anno. anche a partire da domani.
arriva al tavolo
“sì, eccomi.. dimmi..”
“da zero a cento, a che punto stiamo noi due?”
“prego?”
“cioè, mi spiego. zero non ci conosciamo, cento è relazione conclamata, con sesso e tutte le altre cose insomma. noi due, io e te, tra zero e cento, a che punto stiamo?”
“direi zero” risponde la cameriera in modo brusco, come se si sentisse presa per il culo
“ottimo. zero è già molto più avanti di meno venti. e anche di no comment. ti va di sederti un po’ con me?”
poi rivolto all’altra lei pietrificata e incredula
“e magari se te ti alzi e mi porti una pinta di doppio malto, anzi due…? su-sùù! ohp-ohp!”
la cameriera si gira e se ne va allargando platealmente le braccia come volesse dire ma tutti a me devono capitare, mentre gli altri due seduti
“cristiano, lascia, che te lo dica... mi fai schifo”
“e mi fai schifo è meglio di zero, o di meno venti, o di no comment?”
al no comment, illa è già verso la porta, con un andare isterico, cappotto e borsa sottobraccio. bofonchia qualcosa di poco comprensibile. si intuisce giusto un nculo finale.

lunedì 6 agosto 2012

come dormi? come dormi, la notte? cap. 13


come dormi? come dormi, la notte?

CAPITOLO 13

negli ultimi giorni di gennaio del 1998

alcisa mi aveva telefonato a casa per dirmi ti aspetto al bar che ci facciamo un campari e poi mangi da me. quella appena passata era stata una giornata lavorativa speciale ma pesante, e dunque non ne volevo granchè. tra l’altro quella sera c’era il film la patata bollente alla tv, con pozzetto, la fenech e un grande massimo ranieri. l’avevo già visto una decina di volte, volevo fare una decina più uno. ma lui disse non fare lo stronzo vieni subito che sono già alla terza ceres. sbiascicava le parole infatti.
“ok dai. dov’è che sei?”
“cretiiiinaaaa… da rudy, dove vuoi che sia! idiota…”
“oh, cazzo ne so”
“muoviti, idiota”
“seee.. va bon”
mi infilai le scarpe con una certa lentezza smaronata
arrivato al bar di rudy lì a zola predosa alcisa ovviamente già non c’era più. faceva sempre così, ti dava un appuntamento, ti metteva addosso della gran ansia, muoviti, muoviti, ok calmo venti minuti dicevo io, un quarto d’ora diceva lui. e poi non lo trovavi. andai direttamente a casa sua. alina mi aprì con in braccio il piccolo albino mezzo appisolato, un occhio chiuso e uno mezzo aperto. appisolato a tre-quarti, ecco.
“alcisa è di la’ dal fontaniere. e mi sa che è già ubriaco” sbuffò
“mi spieghi perché dovete bere sempre, voi due? non ne potete proprio fare a meno, eh?”
“eh. non so. che ti devo dire… comunque adesso vado a riprenderlo dai”
“mo sé! allora sì che stiamo a posto adesso. vai vai..”
brando il fontaniere abitava nella casa di fronte. praticamente manco dieci metri da porta a porta.
alcisa e brando stavano seduti a tavola a bere dello scoraggiante vino itterico da una caraffa già svuotata per buona parte. la moglie del padrone di casa, col pancione della sua seconda gravidanza, stava già lavando stoviglie e tegami e si passava continuamente il dorso della mano sulla fronte. ogni tanto dava un’occhiata fuori dalla finestra proprio sopra al lavandino. cosa guardasse, non si sa. non c’era niente, la’ fuori, a parte la periferia industriale di zola predosa. mi fecero sedere e subito alcisa mi riempì un bicchiere senza dopo appoggiare la caraffa. “dai ben cretina butta giù, che te lo riempo subito. non sono mica la tua serva” e fece un cenno col capo verso la signora
“lei la’?” se ne uscì brando, puntandole l’indice “lei la’ sta bene lei. ieri sera c’ho tirato una leccata di gnocca che la madonnina sopra al letto è ancora lì che applaude” e si mise a battere le mani con la dovuta flemma cadenzata. la signora non fece una piega, alcisa si mise a ridere come un orango ritardato, io seccai d’un fiato il vino e dissi “beh? ‘csa fegna?”
in casa alcisa si era diffuso un denso aerosol di vapore e grassi saturi, e un odore di carne di maiale in padella lo riconoscevi già dal cortile fuori. mi ricordai di quando da bambino mia nonna mi faceva salsiccia, pancetta e costoline di maiale, cucinate nello stesso olio riciclato di altre fritture, e guai a togliere il grasso “che è quello che fa più migliore”. roba che le arterie ti si restringevano a vista in tempo reale. accarezzato da questi unti ricordi mi illuminai d’immenso
“uh uh uhh… gli usdèin ed ninèin! eh, alina?”
“a tal deeeeg” ribattè alcisa accendendosi una paglia tenuta in bocca di sbieco
“e prendi ben la bottiglia di vino che è in frigo, invece di star lì a dire cazzate a mia moglie. che brindiamo”
“e a cosa?”
“a te, che sei un gran pezzo di merda”
si fece quella sua classica risata assurda a mitraglia ah-ah-ah-ah-ah, aveva dei modi di ridere ignorantissimi. poi prese a sé il figlio reggendolo su con un braccio solo, cercando di tenere lontana la paglia. gli diede un bacio con schiocco su una guancia, un bacio quasi violento. il cinno cominciò ad urlare un pianto tremendo. lo rimise giù nella culla.

“aspetta ali che t’aiuto a apparecchiare”
“ali? hai detto aliiii? si chiama alina, pezzo di merda”
“ma magari a lei non da fastidio. e comunque sarebbe bello sentire da lei cosa ne pensa. alina, ti da fastidio se ti chiamo ali?”
“boh. chiamami come ti pare..”
allungò la tovaglia sul tavolo e si piegò per stenderla per bene. aveva una vestaglia leggera, e io che le ero di fronte potei godere delle abbondanti meraviglie di madre allattante e allettante. alcisa mi sgamò e mi mollò un colpo forte alla nuca
“cazzo guardi, idiota”
“dai, che male c’è. siamo una famiglia noi, no?
“famiglia il cazzo. scommetto che stasera ti fai una sega pensando alle tette di mia moglie”
“dici sempre moglie, ma non siete mica sposati”
“ma abbiamo un figlio, e un figlio è più di sposati. chissà quante seghe ti sei fatto pensando a lei”
“oh! ma la finite? vi sembra bello, con me davanti? e poi c’è il bambino”
alcisa mi guardò torvo. sembrava cercasse di capire quante seghe mi ero fatto pensando alla sua compagna. siccome la vista dell’ampia generosità di quei seni mi aveva provocato un’erezione, evitai il suo sguardo.

quel giorno, era stato un giorno particolare. era stata la mia prima esperienza di assistenza didattica alle esercitazioni pratiche del laboratorio di analisi dei medicinali 3, cioè quel corso che era stato interrotto a poco dal finire a causa dell’incendio della centralina elettrica. iniziai a raccontare di questa recente avventura, disquisendo su un ragionamento che avevo fatto in macchina nell’andare lì.
“che fighe! quante! e una più bella dell’altra. mica come a chimica industriale. belle. bellissime. mi son chiesto il perché. perché a farmacia ci sono solo che delle belle gnocche da paura, e a chimica industriale no? poi comunque mi hanno spiegato che a farmacia molti degli iscritti sono figli, e figlieeee-è, di farmacisti. gli serve la laurea e poi la prenderanno in mano loro, la farmacia. quindi ho pensato: sono figlie di gente ricca, proprietari di farmacia, oh! e un ricco sposa una bella donna. una donna figa va sempre con gente con la pilla, si sa. e poi finisce che fanno figlie, figlie di madri gnocche, che hanno alta probabilità di essere gnocche a loro volta. questione di cromosomi, capite? sono i principi di mendel, dell’eredità dei caratteri, insomma”
“quindi stai dicendo che albino verrà su un cesso, che noi non abbiamo una farmacia. pezzo di merda…”
“albino è bellissimo e avrà donne bellissime chè alina è bellissima”
lei fece una smorfia vanitosa, mi guardò negli occhi, io arrossii e li abbassai e mi misi a giochicchiare con delle briciole di pane.
“mangia ben, scemo”
e si allungò sul tavolo per mettere con la sua forchetta un’altra costoletta nel mio piatto, premio della mia piaggeria. la mia attenzione cascò ancora sui suoi seni, alcisa mi diede un pugno dritto all’orecchio
“ahioooo! ma vaffanculo, otello”
“otello? cazzo vuol dire otello? frocio?”
“vuol dire che mi hai fatto male, cazzo”
“allora vuole anche dire che stai attento, idiota. fa mò un filtrino quando hai finito, cretina, che ci facciamo un joint e poi te ne vai che sono stanco”
“fumo o marvisana?”
tirò fuori dalla tasca una pallotta di stagnola e l’aprì
“questa roba qua. ti va bene?”
era fumo.
“no grazie, quella merda te la fumi tu. io mi faccio un cicchetto della buonanotte, al limite”

poche ore prima, nel laboratorio didattico numero tre di via san donato 19/2, tra le tante belle e brave studentessine, ce ne erano state due che avevano richiamato la mia attenzione più delle altre. stavano sempre in coppia e avevano un accento meridionale che non sapevo collocare geograficamente in modo puntuale. nonostante gli anni meltingpottici dell’alma mater e quello del militare, non ero in grado di riconoscere un accento oltre che dire nord e sud (isole comprese). una mi sembrava più carina e più meridionale dell’altra. ma l’altra mi diceva di più. era formosa al punto giusto e mi chiedeva le cose in modo molto educato, aspettando dignitosamente il proprio turno. mi chiese una sostanza incognita organica azotata che non le erano mai capitate di quel tipo, io le diedi una provetta contenente sodio salicilato (organometallica, niet azoto). ci sarebbe diventata matta a capire cos’era. il tecnico multiciondolato con l’orecchino (così le due mi avevano battezzato nei loro bisbigli confidenziali) aveva fatto la cazzata, d’altronde. ella occupava il banco numero trenta.
e il destino, trenta volte, ci guardava.

domenica 5 agosto 2012

verso lassù





capita a volte che mi doccio al piano sopra, e mi soffermo in terrazza a scrutare lontano le vette che abbiamo qua. e cazzo quanto vorrei vedere il mio ghigno perfido e bastardo, nel meditare che, poche ore prima, si era lassù a martellare sui pedali come un kerouac  i tastilettere di un romanzo beatnik. oggi gran pedalata, liscia come il primo bicchiere di malverno, generosa come chi ti colma il bicchiere e ti offre pane e porchetta, a 1600 metri sopra lassù, in un momento che ti avvicina all’essenza, all’assenza, all’assenzio, insomma, all’oblio. noi siamo di alanno e ce piace de magnà e bevee e fortissimo pedaliam