mercoledì 30 maggio 2012

verso scanno


il mio personalissimo debutto nella polisportiva 95

le catene lubrificate a dovere scorrono sui rocchetti in un concerto di cri cri come grilli di campagna cuando calienta el sol. il tuo procedere produce invece sonorità fuori dallo spartito, con quel loop futuristico di gnik gnak che sa un po’ si scopata estiva nel pomeriggio, stanca e annoiata. quando la strada d’improvviso va in su, qualcuno del gruppo si alza dritto sui pedali, i rapporti scattano in rapidi armoniosi cic-ciac. e il tuo cambio fa invece tra-tra-tlak! la strada è il pentagramma, e voi siete le note. tu sei quella stonata che distinguibile emerge dal coro. che per quanto ci provi, che per quanto ti ci metti d’ingegno, c’è sempre qualcosa che ti pone sotto una luce diversa. ma gli eventi ti hanno insegnato che in tutte le cose ci vuole una bella dose di pazienza e quanto basta di disciplina, se per il caso non sei venuto al mondo con un particolare talento. e allora sei andato a letto presto, la sera prima. dopo che hai cenato frugale con uno spaghetto pomodoro e basilico un paio di bicchierotti no more. hai preparato tutto con cura e dovizia, hai considerato ogni singolo dettaglio, hai fatto fare al mezzo meccanico un tagliando e compilato liste di cose da fare e da ricordare, che questa prima assoluta, a discapito di quest’età e per quello che poi dovrebbe contare a prescindere, ti agita le ore che precedono la sortita.
alanno-scanno, col gruppo ciclistico del paese. tutto inizia quando quella sera di una settimana prima pedali nell’uscita serale pre-cena. ti si affianca una macchina, dal finestrino abbassato esce la coccia del buon ezio che ti dice “oh, ti vedo sempre in bici. perché non te ne vieni con noi, domenica prossima?” vi fermate di lato la strada e tu ti sorreggi appoggiando la mano destra all’auto, rimanendo malfermo sui pedali. “andiamo a scanno, un bel gruppetto di qua, con la bici. poi mangiamo su che le famiglie salgono prima a preparare tavolata e griglie e tutto quanto insomma. se ti va ti puoi aggregare”
“ok” dici. “mi farebbe molto piacere”
“bene. oh, poi se c’haiii..”
“io sono anche la mia famiglia”
“vabbò, ma possono anche ven…”
“e non ho amici”
tagli corto. tanto si sa già tutto di tutti, cosa vuoi mai parlamentare vè.
disciplina e rigore, ma è quella voglia di rivalsa che ti detta di non mollare mai, soprattutto quando da prima di anversa degli abruzzi e fino all’ultimo 75esimo km la strada si inerpica pendente. e tu pensi a certi pezzi rock, e se cali il numero di giripedale ti dai il ritmo con i blur di girls and boys
girls
who are boys
who like boys
to be girls
who do boys
like they’re girls
who do girls
like they’re boys
e poi maledici newton, e poi ti ripeti che cazzo, tu sei quello che quel giorno ha preso 30 e lode in organica II, tu ce la puoi fare
e l’arrivo insieme al lago, una coda di biciclette che si snoda sinusoide nella pineta tra i brà-vi brà-vi di mezzo paese in trasferta, e l’inevitabile (god bless you, abruzzo) mangiata tipo fatica obelixiana con quelle ottanta persone che ti upgradano piatto e bicchiere tra un infinitesimo temporale e l’altro
no no bona bona lè..
maddai che sei lungo, mangia mangia, ce n’è del posto…
ti lasci alle spalle il paese reso eterno dagli scatti dei grandi henri cartier-bresson, giacomelli, giovanni bucci. al rientro, benché già di sera, c’è ancora afa e canicola ad accoglierti.
nient’altro.
nient’altra.
ma ce l’hai fatta.
ancora una volta.

lunedì 21 maggio 2012

wimbledon (stay angry, stay fetish)



anche se è sabato, la sveglianokia suona di buon presto, apposta settata nell’ora della prima luce. meteo.itì dice che domani domenica farà inequivocabilmente pioggia all day long, sarà bene sfogare la febbre da pedale per tutta la questa mattina. e che poi succeda quel che deve.
mircovaldo si veste lento da cicloamatore, mette in pressione le ruote, fa appena in tempo a notare che i copertoni sono lesionati. si potrebbe fermare a manoppello o a chieti scalo per un cambio al volo, ma non ha contanti. il bancomat? naaa… che dopo sta tutto il tempo in paranoia a tastare che sia ancora lì nella tasca dietro altezza reni. orsù, attacca l’ipod, e parte così.
è nella zona industriale, su quel falsopiano che porta dalla rotonda di villareia all’ospedale ss annunziata di chieti scalo, che capisce che sta arrivando di botto. di solito l’avverte con quel paio di minuti di anticipo, cosa che gli permette nella vita di tutti i giorni di rintanarsi in qualche anfratto in attesa che passi. ma stavolta giunge improvvisa, come quella volta al concerto di lou reed qualche mese fa. mentre l’immenso lou eseguiva una struggente versione di sunday morning, chitarra e voce bonalè, mircovaldo s’era ritrovato spiazzato dalla crisi di pianto, col singhiozzo e le lacrime che copiose gli colavano dalle guance ispide di barba di una settimana, tra la gente.
 
lei disse misteriosamente sarà sempre tardi per me quando ritornerai

è costretto a rallentare, gli occhi bagnati gli sbiadiscono la vista, lo affianca un altro pedalatore che lo guarda stupito
cumpà.. st’apposht?
sì sì grazie grazie st’apposht
ma tì shtì sicuree? tì shtì male?
none none... lu moscerinee, e chi ciccis! nù sciame di que cazzelli du moscerinee
ma chi ciccis, tiene l’ucchiale!
ah. tinc l’ucchiale. già… allora abbò..?

(ok. togliere dalla playlist compagni di viaggio di de gregori. priorità assoluta. scrivere in testa alla lista delle cose da fare: togliere dalla playlist compagni di viaggio di de gregori)

si rigira all’altezza dei grandi alberghi sul lungomare di montesilvano, lì dove sta lo stabilimento delfino verde si accorge che certuni gli si sono attaccati dietro, si volta a guardare, sono in quattro, non di primo pelo. mircovaldo si mette a pompare costante sui 35, potrebbe andare oltre che la gamba è in giorno di grazia, ma sul trafficato lungomare è bene essere prudenti. non se li scrolla di dosso, anzi i quattro lo passano appena entrati in territorio del comune di pescara, complici un po’ di macchine in cui emme.vù. si ritrova imbottigliato. ma presto li riagguanta, gli si mette in coda, due se ne vanno a destra dopo aver salutato gli altri loro compari, mircovaldo ritenendo l’andatura troppo modesta per la sua condizione di quel giorno ripassa la coppia orfana e si rimette a tirare con una discreta foga. ancora macchine però, uno dei due lo affianca e gli dice oh, ma te ci fai morire. con quelle gambe lunghe…
adesso procedono insieme affiancati a passo di scampagnata, il tizio degli ex-4 che mircovaldo aveva già puntato come leader è un attempato signore sui sessanta. gli propone di entrare in un gruppo che la domenica mattina si ritrova all’hotel duca d’aosta di pescara, domani alle 8, se vuoi esserci gli dice, ma emmevù declina, c’ho già il mio gruppo, la polisportiva 95, alanno, sentenzia con orgoglio.
nel tragitto verso villa raspa il signore attempato è un fiume di parole, gli dice che è un ex professionista, mi chiamo m. avrai sentito parlare di me, mi spiace, non ricordo, scuotendo la testa risponde rammaricato il nostro. ho corso con i più grandi sai? sai chi c’era in squadra con me? non so se ti ricordi

NON ME LO DIRE NON ME LO DIRE NON ME LO DIRE NON ME LO DIRE

(oh, io a ‘ste cose non ci credo. ma mircovaldo sa già il nome che sta per pronunciare il signor m. giuro, mi cascasse l’uccello e mi rimbalzasse nel culo)

bitossi, sai chi è? correvo con bitossi
ma porcoddue! bitossi! se lo conosco? il grande cuore matto! ma certo che me lo ricordo, è il mio mito, è..
poi però mr. emme-punto interrompe e ricomincia a dire di tutto e di più, dei suoi 66 anni, della pensione che si vuole godere, delle sue tredici bici, della vita fortunata, della figlia a milano che gli ha dato 2 nipotini e del figlio anche lui ciclista e attivo professionista con 12 vittorie tra cui il trofeo matteotti 5 anni fa e pure sistemato bene nella vita con moglie e con già un altro erede. insomma, un ottimo presente per colui che ha corso col grande franco bitossi, con cui si vede 2-3 volte all’anno, e che mi ha fatto i complimenti per il mio pedalare. mi mostra dove abita, vorrebbe farmi vedere le sue bici, io dico che non ho tempo, non ho la fortuna di chi mi prepara a casa, che sono solo e
ah. non va bene. e come mai sei solo?
eh. poi te lo racconto
comunque non va bene. dovresti trovarti una donna
ok, prima o poi lo farò
le loro strade si separano e si salutano calorosi.
ma che tipo.. bella storia, però. sì, penso che è bene che ci rivediamo. magari mi potrebbe fare conoscere, ossignur, il grande, l’imprescindibile cuore matto. e gli chiederei di gap, che diamine è successo in quei fatali ultimi metri, quasi quarant’anni fa. mi farei autografare la maglia quella buona, ci faremmo una foto insieme e la metterei come profilo su facebook. anzi, appena arrivo a casa vediamo un po’ di gugolare su questo signor m…

oltre villanova, a circa 15 km da alanno, gli si attaccano dietro 5 arroganti. la vedi subito l’arroganza nei ciclisti, sono quelli che non hanno casco ma se fa freddo quella specie di fascione di paille o quell’altro coso cilindrico aperto sopra, che servirebbe per proteggere la gola. e che quando ti passano non ti salutano, ti guardano come l’ultimo degli stronzi, e ribadisco, non salutano. cosa che succede ora. uno poi gli sfila bastardo pericolosamente sulla destra, a mv gli scappa forte un ‘sto stronzo! ma luilà fa finta di non aver sentito. maledizione, ma perché non mi mandi a cagare…
ora. sappiate che mircovaldo c’ha davvero un carattere di merda. è quel che si dice un gran cagacazzi. c’avete presente wimbledon dei meravigliosi numero6? ecco, lui più o meno e così, come dice quel gran pezzo. ai tempi dell’alma mater, i compagni di squadra basket campionato uisp lo avevano ribattezzato a-bì, che stava per attaccabrighe. trovava da dire con tutti. c’era stata una volta che durante un tiro libero, invece che tirare a canestro, aveva lanciato violenta la palla a due mani tipo fallo laterale calcistico verso la panchina avversaria, chè ci stava uno che ridacchiava e ripeteva sempre a rimbalzo a rimbalzo, durante l’esecuzione del tiro libero, come fosse certo che lo sbagliasse. successe un parapiglia, ma vi dico questo tanto per raccontarne una, eh, per farvi capire. il mister gli urlava sempre solo queste indicazioni: a-bì! a-biiiiì! non ti impermalire sotto canestro!
che direttive tecniche, eh?
vabbò.
mette su un rapporto lungo, catena sul padellone davanti, e li riacchiappa in poco. vuole ripassare la merda, possibilmente a destra però. ci prova in un paio di occasioni quando lo stronzo è in coda, ma ci stanno gli altri 4 in fila e non si passa.
poi succede anche che un altro sputa senza avvisare dietro e a mircovaldo gli arriva qualche schizzetto
ma vaffanculo và! dice forte, ma niente, l’altro non reagisce. e ha sentito, per forza
mo cosa sono ‘sti qua, cinque fighe? cinque busoni? porca troia, devo darvi un calcio per darvi la sveglia?
parlottano tra di loro, scattano sui pedali, e si lanciano ai 40. è chiaro, lo vogliono staccare, i busoni. mo sé. se lo possono scordare. mircovaldo, oggi, con voi poi, non si staccherà mai. anzi, irriverente e puerile, da ultimo in fondo, pedala a busto eretto senza mani sul manubrio facendo gesti e faccine verso chi sta davanti.
madòòò, che brutto carattere di merda che c’ha.
alla fine loro là ci rinunciano, anzi provocatoriamente tengono ora un’andatura da nonna, tra i 20 e i 25, come dire mo ti staniamo, va mò avanti tu. ma invece lui resta dietro, tanto tra poco c’è la fontana sulla bonifica dove si incrociano le strade per rosciano, per manoppello, e dritto per alanno. loro certo si fermeranno a fare acqua lì, tutti i ciclisti vi sostano a quella fontana, e lui invece tirerà dritto spedito e bye bye baby.
così succede.
 
mircovaldo carico procede su per la misericordia, scende per ticchione, e invece che salire per alanno decide di prenderla lunga e larga per la dura rampa che porta a pietranico, per calare dall’altra parte dove sta l’oratorio.
scomodo ma come dire molta soddisfazione soddisfazione signore
arriva a casa, si spoglia, nudo mette 3 salsicce in forno, doccia, accende il pìcì, mette su la polenta valsugana e stappa un buon trebbiano di villamagna, aspro come aspro è lui. si collega alla rete globale e apre la pagina di google. digita certe tags

mercoledì 16 maggio 2012

io vorrei tornare indietro


l’altra notte, come sempre, non dormivo. io non dormo. io non dormo, la notte. gocce di rimpianti a regolari intervalli di tempo cadenzati martellavano i miei neurotrasmettitori.
tornare indietro, tornare indietro, tornare indietro, io vorrei tornare indietro. lo penso spesso, che vorrei tornare indietro. sì, tornare indietro. ma quanto? ripartire sì. ma da dove? da quando?
novembre 1995, esame di chimica degli eterocicli aromatici. preparato, sono molto preparato. ne so a pacchi. alla prof benati sto sul cazzo, sto lavorando alla tesi nel dipartimento di chimica organica a. mangini, mi vesto strano, c’ho uno strano taglio di capelli, porto occhiali vistosi vintage, sono innamorato pazzo di bebylemonade e ci vediamo clandestini ma manco ci baciamo, sono alto magro e cammino curvo fintoscazzato tipo i green day nel video when i come around. bel pezzo. bel video. mi sono accorto da subito che le sto sul cazzo, alla prof  benati. c’ho 25 anni e sono sempre arrabbiato. con chi, con cosa, non lo so. sono arrabbiato e basta.
l’esame va alla grande, e tra domande e risposte la prof si ammorbidisce, la sua ostilità diventa cordiale confronto, finiamo il colloquio col sorriso, anche dopo una mia piccola sbavatura finale.
come faccio.. come faccio accidenti. vorrei tanto darle la lode, ma no, non posso, come mi dispiace, come posso fare, lei meriterebbe la lode, maaaa…
sembra tormentarsi come una madre.
ecco, facciamo così, le do trenta, le do trenta e si prenda (indica un coso pieno di caramelle) una caramella. le do trenta e una caramella!
grazie prof, mentre scelgo quella gialla al limone, per me è anche meglio così, sa?
accidenti..accidenti, lei doveva prendere la lode, ma non posso..
nessuno ha mai preso trenta e una caramella, penso. sono davvero più contento così.
ecco, se potessi tornare indietro, schiaccierei il tasto rewind fino nell’istante della caramella, e ripartirei da lì.
che in quel tempo, in quel tempo che avevo una pelle splendida, davvero la preferivo alla lode quella caramella. che così c’ho una storiella buffa da racconatare, pensavo. e adesso l’ho raccontata. da lì, da quell’esame, da quella rabbia, da quel cuore matto, da lì io ripartirei.
un giorno, ve ne dirò un’altra. di novella. ho dita pigre, ahimè, ma abili e veloci all’occorrenza. verrà anche quel tempo.

io non dormo. io non dormo la notte. e tu? sì, tu. come dormi? come dormi, la notte?

martedì 8 maggio 2012

sesso e volentieri

era aprile era maggio era chi lo sa.
ebbene sì, quella sera, quella notte per la verità, non avevo scampo. la volta prima mi ero defilato dall’obbligo amoroso con una banale scusa, tipo credimi ma non mi sento bene, ultimamente il lavoro mi sta uccidendo, sarà colpa della stanchezza, non sono mica più un ragazzino. o qualcosa del genere insomma. dunque il jolly me lo ero già giocato. eravamo al terzo appuntamento con la peggy sue. la prima volta, cena e poi ognuno a casa sua lasciandoci con sguardi complici ma senza che succedesse alcunchè. la seconda volta cena poi pub e tour a piedi nella notte bolognese con bacio fatale e sù a casa sua a fare qualcosina prima della ritirata strategica. poi terzo appuntamento da non so come ci potevamo considerare e alle due della notte ancora per la seconda volta nel suo appartamento con le spalle al muro ‘stavolta. vado un attimo in bagno, dissi nel liberarmi dalle sue mani e dai suoi occhi imploranti che mi inchiodavano alla croce. mi guardai allo specchio. beh, pare che s’ha da fare. mi tirai fuori la catenina e sfilai il dolore che ancora mi ostinavo (e mi ostino. perchè? non lo so) a portare al collo. sarebbe stato un po’ imbarazzante.
chi? loveofmylife? ma chi la vede più….
(vero)
ma chi ci pensa più…
(falso).
ok. quale diamine era il problema. peggy sue non era per niente male. affatto. anzi in tempi non sospetti mi ci ero pure crogiolato nell’ispirami per il fai-da-te. un seno che... o mio dio che tette peggy sue! enormi! e in ottima forma, se capite cosa voglio dire. eppure capivo che c’era qualcosa che non andava. forse mi inibiva quell’alone di angoscia che si portava dietro, quel suo sorridere che nascondeva milioni di malinconie, o forse non so veramente dirvi cosa. ma non avvertivo desiderio alcuno, e mi guardavo allo specchio dicendomi ma chi te lo ha fatto fare a cacciarti in ‘sta dunkerque. beh, oramai c’ero dentro tutto. niente, nessun segnale. e dire che nelle ultime avventure amorose tutto era andato liscio. beh parlo di due diverse storie. con due giovini ragazzuole fidanzate ma che vallo a capire si erano invaghite del me medesimo. che diavole che erano. in entrambi i casi mi veniva l’erezione solo a incontrarci per i corridoi al lavoro. che esplosione di erotismo con la prima! mammamia che cinema a colori! poi un bel di’ se ne era andata via ma a ruota era arrivata la seconda, maggy mae. ussignur maggy. praticamente mi faceva stare in stato di eccitazione perenne. mi farai venire l’orchite, mag, le dicevo. perchè c’erano dei giorni che non si prestava. altri invece sì. decideva tutto lei, io ero un elettrone spaiato e lei no. dettava tempi, luoghi, ritmi. un inferno. e sempre con il pene in erezione. pure la mattina presto, quando arrivavamo al lavoro prima di tutti gli altri e lei mi dava subito il primo bacio. sapeva un po’ di dentifricio, un po’ di caffè, e con una spruzzatina di alitosi mattutina che mi eccitava pure quella e via che il boy si impennava.
dai maggy andiamo nello stanzino.
no mo no.
soccia mi fai venire l’orchite.
ridimmi soccia dai ridimmi soccia.
soccia....
hi hi hi mi piace troppo quando dici soccia hi hi hi adesso dimmi grassie dai dimmi grassie
‘sta cosa dell’accento mi faceva venire l’orchite bis.
ma torniamo a quella sera. cosa diamine mi era preso. forse il fatto che peggy sue fosse un’anima sola come la mia forse in cerca di rimettere certe cose in carreggiata prima che il tramonto della fertilità prendesse il sopravvento, forse quella sensazione che mi dava di ricerca della felicità a tutti i costi... boh. no non funzionava su di me. e poi vedermi un letto vero, mica auto o stanzini segreti sul posto di lavoro, e poi le ciabatte, e poi appoggia pure le tue cose dove vuoi. oh my god!
tutto si complicò quando poi tirò fuori dal cassetto un preservativo.
ah maledetta! lo sapevi allora! mi hai teso una trappola fin dall’inizio. che ci fanno se no quei preservativi nel cassetto!
comunque. punto primo e ultimo. erano forse diecianni che non usavo un preservativo. con loveofmylife era normale senza. con le fanciulle invece si era dei matti spensierati e nient’altro. lei mi guardava meravigliata nel mentre cercavo di barcamenarmi col coso.
ohi, ma l’avrai usato già il preservativo in vita tua...
beh, devo dirti che sono un po’ di anni che non c’ho più avuto a che fare con ‘sta roba. ohi, non che non abbia praticato eh! voglio dire che...
e intanto avevo già perso quel minimo di condizione erettile per infilare il guanto
lo sapevo.. lo sapevoooooooohhhhh
la prima fu una tragedia da novizio. una fatica di mezz’ora per raggiungere lo stato di penetrazione e un minuto per raggiungere l’orgasmo. che figguremmerd!
dai stai tranquillo. se stai tranquillo vedrai che adesso va meglio.
eh! una parola. facile per te..... sempre facile per voi...
poi le cose andarono effettivamente meglio. ne feci altre due degne di tali e poi con l’alba del nuovo giorno me ne scappai lesto.
ma dai rimani. dormi qua dai. c’ho pure uno spazzolino nuovo per te....
ehhhhhh?!
arrivato a casa, a casa mia, aperta la porta mi imbattei in ursus in mutande e canotta che si dirigeva verso il cesso. mi scannerizzò da cima a fondo con gli occhi semiaperti, disse cazzo che brutto che sei, si diede una sgrullata ai maroni, piegò leggermente sulle ginocchia e mollò una scureggia sciacquarella. scesi le scale di sotto, spensi il cellulare, tirai fuori dal frigo una tuborg, tirai la linguetta e mi accesi una paglia. diedi giusto due sorsate, buttai la paglia a due terzi,  e dopo che ursus se ne fu tornato nel suo loculo mi cacciai sotto la doccia. ossignur quanto mi sentivo laido. come se avessi effettivamente tradito. ma tradito chi? forse il me medesimo. forse la lei stessa con cui mi ero tristemente unito. ci sono rimasto un’ora sotto la doccia. avrò fatto cinque passate di bagnoschiuma. restai immobile minuti con lo spruzzo dritto sul viso con le mani dietro la schiena. il lavaggio del redento.
mi infilai nel letto.

quante ne avevo sentite
ohi, va la’ va la’... si chiude una porta e si apre un portone
va la’ va la’..... il mare è pieno di pesci
cazzate.

da allora non ho più tolto spazio alle lacrime e al dolore. mai più palliativi. mai più placebi. solo io con le mie maledette recriminazioni. ogni minuto della mia esistenza nella consapevolezza che altro mi rimane che resistere.
sarà per questo che io non dormo.
io non dormo, la notte.

lunedì 7 maggio 2012

col seno di poi



non è certo per il caso che, condizione più unica che rara e mi si passi l’eufemismo, il ritrovarsi le bollette nella buchetta della posta sia motivo di letizia, un solletico del cuore e dell’anima ed anche un po’ più giù. certo non è mai stato troppo in bolla con la testa, il buon mirco valdo, uno di quelli che c’hanno bronze di scoiattolo al posto delle sinapsi. ma bisogna riconoscere che stavolta l’anomalia trova infine un suo fondamento anzi due: i seni più grandi del mondo della postiera delle poste centrali. e mirco valdo quando gli arrivano le bollette è felice. e poiché ne arrivano poche, ha pure fatto un’adozione a distanza per avere la possibilità di recarsi a pagare il bollettino per quella volta in più.
sono le bronze degli scoiattoli tra i neuroni, c’avete presente?
vabbò.
dunque quando si trova in posta il brav’uomo una volta staccato il tagliandino col numero comincia a fare calcoli probabilistici sulla auspicata eventualità di finire sotto la postiera dai seni enormi. a volte gli va bene. a volte male. a volte 50 e 50, nel senso che capita da una delle altre che non è la lei dai seni  enormi ma è comunque di molto bella. e il mirco vù pensa che seni enormi si stia rodendo il fegato dalla gelosia.
veniamo all’ultima volta che il nostro va alle poste centrali per regolare i conti della luce. pazientemente varca le due porte a vetro scorrevoli, e subito i suoi occhi si mettono alla ricerca spasmodica di esse e. eccola lì, con un vestitino leggero tipo da andare in spiaggia, magra col viso scavato, una specie di morticia però coi capelli castano chiaro e gli occhi verdi e i seni enormi. emme-vù strappa il bigliettino della tombola. sarà il numero magico? ma è ora di non-punta, c’è poca gente, forse stavolta non è solo questione di fato, una elaborazione matematica si può fare. oppure senza tanti fronzoli si potrebbero aumentare semplicemente le probabilità. ecco che allora mirco valdo aspetta che giungano altri clienti e a breve cadenza tra l’uno e l’altro si appropria di altri due tagliandini. e così fanno tre. il suo primo numero si illumina e fa quel sibilante biip che significa speranza ma ahilui capita nel posto sbagliato, e dunque illo guarda il soffitto e fa finta di niente. poi viene l’ora del secondo numero, ancora cilecca, e di nuovo a fissare i mattoni. ma si accorge che lo guardano strano, non sono in tanti e si sono accorti che lui è arrivato prima di altri. ha come il sentore che qualche avventore cagacazzo o peggio una delle postiere gli stia per chiedere spiegazioni. dunque quando le lucine rosse accendono il terzo numero ancora una volta sul lato buio della luna (un po’ come fare zero al totocalcio) gli tocca giocoforza andare lì. non è giornata, evidentemente.
‘giorno.. dice mirco valdo alla postiera qualunque (manco l’altra bella con cui farla ingelosire accidenti) le allunga il cedolino e dice pago col bancomat. dice sempre pago col bancomat prima che l’altra/o inizi le operazioni. una volta si prese una cazziata per non averlo fatto. la tizia gli spiegò una serie di ragioni per cui si deve dirlo subito, che lui poi non percepì e forse in quel momento gli scoiattoli avevano preso freddo al pancino.
vabbò, uno dei motivi era quello che magari in quella postazione non funziona il bancomat. perché gente, questo-è-quello-che-stavolta-succede!
oooh bravo che me lo ha detto subito oooh guardi il bancomat non funziona da me oooh senta le dispiace passare dalla collega che è libera senza dover rifare la fila? ci mancherebbe. ne ha già fatte tre! ma ne è valsa la pena, che quella collega in questione è lei, la postiera dai seni enormi.
mirco valdo si avvicina esitante alla postazione della lei, le gambe gli tremano un po’. dalla bocca gli esce un buongiorno che ci vorrebbero i sottotitoli, ma lei non ci fa caso.
a 45 gradi appoggiato col gomito sul banco, l’altra mano sul fianco, e le gambe incrociate sotto, a metà strada tra baudelaire e fonzie, egli sta.

sabato 5 maggio 2012

rosso relativo

era al secondo appuntamento, e come per il primo aspettava l’ora buona sul divano con la tivù sintonizzata su gerryscotti sorseggiando l’ultimo bicchiere del vino bianco avanzato da ieri. si accese una paglia e fece subito uscire il cane in giardino pensando al fumo passivo.
partì la musichetta di default del nokia.
dimmi chè lei che mi tira il pacco dimmi che è lei che mi tira il pacco dimmi che è lei che mi tira il pacco…
guardò il nome sul display, non era lei, per la rabbia non rispose.
la tipa era carina, a modo e graziosa, avrebbe dovuto essere bramoso. aveva fatto per bene i calcoli, era già passato al multisala a prendere i biglietti, che sotto natale sai com’è. già che c’era aveva approfittato del centro commerciale per comprarsi le nike nuove e pure una maglietta da ggiovane da mettere sopra a quella rossa a maniche lunghe. un po’ leggero nonostante il freddo, ma lui lo reggeva bene, il freddo. si era fatto la doccia e lo shampoo, si era vestito e lavato i denti, aveva gargarizzato col listerine, e aveva abusato con acqua di giò. vestito casual con anche quei jeans preferiti si guardò allo specchio e vide che era cosa buona e giusta.
eppure, anche ‘stavolta, gli era già scesa la catena, e già rimpiangeva una serata che non sarebbe stata a base di cotolette del mecellaro del paese, piero angela alla tìvù e poi john fante nel lettone piumonoso.
decise che era ora, mise lo storico loden della festa, diede un bastoncino friskas al cane per farsi perdonare l’abbandono di qualche ora, e ripulito si mise in macchina con l’autoradio settata su virgin radio.
si mise a rivedere i fotogrammi della prima uscita, che era andata un po’ così, anche allora cinema e poi cinese, moderatamente a suo agio, cristiano b. aveva poi accompagnato la tipa carina a modo e graziosa alla sua macchina senza idea di prendere alcuna iniziativa (come sempre faceva o meglio nonfaceva, d’altronde). eppure illa si era sentita di scansare preventivamente equivoci dicendogli:
“scusami, ma sai, io sono una persona molto diretta, io sono una persona che dice quello che pensa, io sono una persona sincera e schietta.. insomma, voglio dirti che tu non mi piaci. non mi piaci proprio. se ci rimani male mi spiace, ma te lo devo dire, io sono una persona molto diretta, io sono una persona che dice quello che pensa……”
cristianuzzo bello aveva reagito passivamente, cercando di vedere se era in grado di ricontare tutti gli “io” di quel discorso. e se ne era tornato a casa quasi contento, che comunque la serata era poi finita.
che bello. domani sera cotolette e vino buono. ohhh… yeah!

ma poi era successo che dopo due settimane lei si era rifatta viva, e dopo qualche scambio di sms e e-mail, ne era venuta fuori una seconda chance. magari non è poi vero che non le piaccio, meditò. vai a sapere cosa passa nella coccia delle donne. sono matte. sono strane.
guardarono uno di quei il film di natale senza infamia e senza loden e poi cristiano la portò in un localino o da ballotta o da coppiette, tipo quei pubbettini intimi dove fanno anche da mangiare e sul tavolino ci sono le candele che diffondono luce tenue e si può parlare bene.
ordinarono birre del belgio, una pizza in due, e patatine.
cristiano si mise a raccontare di cose mediamente interessanti, mentre la tipa tirava sbadigli cadenzati senza sforzarsi minimamente di trattenerli.
“ti stai annoiando?”
“no, perché?”
“come perché… sbadigli in continuazione”
“no, è che sono stanca, sai è che in ‘sti giorni..”
“ti annoia ‘sta storia che ti sto racc..”
“ma no, ho detto che sono stanca. sono stanca”
“è carina la maglia che c’hai. ti sta bene il bianco”
“dici? mah! io la volevo rossa, ma erano finite. tutti mi dicono che il rosso mi dona. anche per me sto bene col rosso”
era da un’ora che aspettavano le patatine, cristiano si alzò e andò al banco a chiedere con tutta l’educazione del mondo. la ragazza truccatissima dietro gli rispose sgarbatamente. tornò mesto al tavolo.
“ma che modi, eh?”
“vorrei vedere. mi sa che non è l’unica persona che ti tratta così. è che si vede che sei un debole, si capisce subito, e secondo me tutti si comportano così con te”
“e cosa dovrei fare, scusa? non mi metto a litigare per delle patatine”
“è una questione di principio. oggi sono le patatine, domani…”
“allora sono un debole?”
“sì, si vede benissimo. è normale che la gente poi ti tratti così”
“oh, ma proprio non ce l’ho un pregio? dai, dimmi un pregio. sbadigli e mi dici solo difetti…”
“boh. ci dovrei pensare”
abbassò gli occhi come ci pensasse davvero. passarono uno, due, tre, quattro, cinque secondi.
cristiano svuotò tutto d'un fiato il bicchiere della seconda birra doppio malto, impugnò il coltello ancora sporco di pizza.

mentre i due in divisa lo portavano fuori coi ferri ai polsi si girò per guardarla un’ultima volta. aveva ragione lei. le donava, il rosso.

giovedì 3 maggio 2012

le parole giuste




lei è la dottorandina troppo carina del quarto piano. c’è stato un tempo in cui si sorridevano reciprocamente quando si incontravano, di quei sorrisi complici che ti potrebbero anche far pensare bene. e poi quello scambio di sguardi durante le pause caffè quando si beccavano al bar di sotto, lei che parlava coi suoi colleghi e lui coi suoi, ma prendendo posizione che si potessero guardare l’un l’altra.
poi è andata che lei si mise insieme ad uno del laboratorio di fianco molto più giovane e bello di lui, e questi giochini sulle note di sce tèm sce tèm na na na na naaaaaa na na na naaaa na na na naaaaaaaa sce tèm sce tèm finì un po’ così.
ieri cristiano bitossi era in posta centrale a chieti scalo per fare una spedizione prioritaria. e non ti vede entrare dalle porte rotanti lei, la dottorandina del quarto piano? e non si avvicina al cìbì con un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso? per la prima volta hanno modo di parlare, oltre il ciao-ciao di sempre. lei chiede
come va?
e lui risponde
abbastanza male, grazie
eddai su! ma che stai facendo?
sto mettendo a punto una nuova tecnica chirurgica per il trapianto dell’alito
oddio! ma che schifo! ma che cosa orrenda..
per chi gli puzza il fiato mica tanto. e anche per chi gli sta intorno
io comunque intendevo qua in posta. io devo spedire della burocrazia, sai che palle, è per il fatto che ho fatto farmacia e sono iscritta all...
ma hai studiato qua a chieti?
sì. io sono di qua
e di dove?
manoppello
manoppello! ma siamo vicini allora! io sono di alanno
sì. si sente dall’accento (ride)
sai, dice lui, a manoppello ci andavo i primi tempi che ero qua, la mattina mi fermavo sempre da pasticceria manna, conosci..?
come no. adesso si è spostata
ma dai. e c’è ancora il figlio, quello matto..
toby?
sì, lui. diomio che pazzo. mi chiamava cesarecremonini. diceva sempre che gli somigliavo. mah…
ah, sì. toby fiadoni! (le scappa un sorriso)
ah! così si chiama?
ma no, non è il suo vero nome. fiadoni perché fa i fiadoni
ah. dunque come se  io mi chiamassi cristiano cazzate…
cosa, cazzate…?
sì, il mio nome. se quello si chiama toby fiadoni, dunque io sono cristiano cazzate.
credo di non capire..
niente. era una cazzata. appunto…
io comunque mi chiamo elisa
lo so
e come fai a saperlo?
questione di sillogismo. le ragazze carine hanno nomi carini. elisa è un nome carino. dunque tu ti chiami elisa..
cristiano butta gli occhi nel decoltè della lei con sfacciata impudenza. e imprudenza. non c’aveva fatto mai caso, ma ha un bellissimo seno. non enorme, ma ben fatto. lei d’istinto si chiude un bottone della camicia spalancata su quelle meraviglie. si sente un pliiinnn! sul tabellone luminoso esce p077. cristiano guarda il bigliettino e dice tocca a me.
buongiorno
salve. vorrei spedire questa busta con posta prioritaria
cioè? vuole fare una raccomandata?
no nooo. niente che comporti il dover compilare cose che non ne ho mezza voglia. posta prioritaria, normale.
la postessa guarda l’indirizzo. bologna.
ma se lei fa una raccomandata, con cinque euro domani arriva a destinazione
vabbò, non ho fretta. anche se ci mette un po’ di più fa lo stesso
ma non avrà la tracciabilità
ooohh… non mi parli di tracciabilità, per carità. e poi ho deciso, non ci penso più. lo sa che lo zar di tutte le russie nicola secondo poteva ancora evitare di trascinare la russia nella prima guerra mondiale? chissà, magari poi non scoppiava affatto, se lui fermava tutto. ma aveva mobilitato, e una volta che gli eserciti mobilitano, è fatta
perché mi dice tutte queste cose?
so che le interessano
e chi glielo ha detto che mi interessano le sue chiacchere?
antani
chiiii?
la supercazzola
senta, lei non si permetta di prendermi per il culo
ok, ok. mi scuso e la faccio finita. che poi la gente dietro mi lincia. ok, mi cospargo il capo di cenere e di cerere, per-bacco. e poi lei è una così donna di tale.. come dire… ma lo sa che lei mi ricorda tanto quella famosa attrice americana? e poi non dimostra affatto la sua età
la smetta con ‘ste cose. tanto lei è uguale a tutti gli altri, sa?
e chi glielo ha detto? antani?
chi?
la supercazzola
ma lei è un pazzo. basta così, mi dia un euro e cinquanta e se ne vada prima che perda la pazienza
ok. pago. anche se temo per la sorte di questa busta
paghi e vada. e la prego di non tornare mai più in quest’ufficio
cristiano paga e scatta il p078 sul grande display. è il turno di elisabella. lui va per salutarla
ciao allora.. ma una cosa al volo. ti va se ti aspetto fuori che ci facciamo un aperitivo?
no, davvero, grazie, meglio di no
eddai, insisto, tanto ho timbrato il cardellino, e nessuno della lipu o del vùvùeffe mi ha visto. daiii.. non dire no, dù dù du du dum. non dire no, non dire noooo-ooh lo so che ami un altro ma che ci posso fare?
oddio ma tu sei matto
sì un po’. dai, ti aspetto fuori mentre fai. mi fumo un paio di paglie con una velocità ansiosa che manco usain bolt se le fumerebbe in cento metri
no davvero, non insistere
lui fa la faccia da marpione implorante
ok, per l’ultima volta. ma sei davvero sicura?
lei sorride e si mette le mani sulla bocca piegandosi un po’ sulle ginocchia
beh... no
ok. allora vado. ci si becca la’
ah. ok. ciao.
cristiano si immette sulla via pescara. dopo due trecento metri gli scatta un flashback
ma quando ha detto no, era no perché non era sicura di non accettare, o un no che intendeva dire non accetto?
arriva alla rotonda e la fa a trecentosessanta gradi. riprende la via al contrario canticchiando stornelli romani sulle note dell’inno alla gioia. fuori c’è il sole.



“tu sei davvero un bel ragazzo. che peccato, che parli”
(simona effe, marzo 1990)

e lo era davvero un bel ragazzo, allora. ah, se lo era. oggi non lo è più. troppe sconfitte, troppo dolore, troppi guai. in compenso, cristiano bitossi parla ancora.
ah, se parla!
ah, come gioca delpiero.

mercoledì 2 maggio 2012

la donna oraria ed io


(oggi, dopo un sacco di tempo, io e la donna oraria ci siamo incontrati again)

la vedo tutte le mattine che cammina in senso opposto al mio autoprocedere dall’altro lato della strada. per strada parlo del lungo vialone della bonifica, tra alanno 65020 e villareia di cepagatti che simpaticamente chiamo villareia di cepacats. sono una gran macchietta, so. lei è la mia donna oraria. infatti, a seconda del punto in cui ci si incrocia, capisco se sono in anticipo, puntuale o in ritardo al lavoro. si potrebbe obiettare che lei potrebbe pensare lo stesso viceversa. ma invece no. è che lei mi sembra una che è di molto sicura e costante, un metronomo, benché cammini trafelata lungo la via fumando nervosamente una paglia. è alta diciamo 1.75, porta sempre un giubbotto nero e jeans attillati che mostrano le sue avvenenti forme, i suoi capelli sono neri lunghi e ondulati come il mare spennellato dai pittori impressionisti. pare che c’abbia sui 35. molto bella. sì. ha decisamente scalzato dal mio cuoricino che fa ciok il mio cuoricino sotto shock la cassierina del carrefour, che tra l’altro l’altro giorno mi ha dato 4 bollini con una spesa di 49 eurini. eddai… essùùùùù.. e andiamoooo..  soppa son sempre qua! e arrotonda no? la voiamo pijà ‘sta padella pè la paella?
ehvabbò, se non ce n’è non ce n’è. ahh cassierina di cuori. tu mi fai girar tu mi fai girar come fossi una bombola. di argon.
orsù dove eravamo. ah ok. stamane il punto di collisione tra il me medesimo e la mia donna oraria mi diceva che ero in perfetto anticipo. ergo mi sono rilassato e tra un pezzo e l’altro su virgin radio ho posizionato il piede sui 60-70 km/h. molto in regola. c’avevo una macchinona attaccata al culo della mia corsa che non andava di corsa. era guidata da una tipa parecchio bionda con quegli occhialoni da sole con lenti enormi che oggi ne vedi un sacco di bionde con quei cosi lì. ho visto che li porta pure parishilton, l’ho visto su emtìvì. vabbò.
parsihilton comincia a sfanalarmi e vedo nello specchietto che sta imprecando con smorfia cattiva. rispondo con quel  gesto della mano tipo cazzo vuoi. lei si capisce dal labiale che dice qualcosa di molto simile a mavaffanculo a rallentatore,  tipo maaaavaaffancuuuuloooo. mi passa guardando dritto e digrignando i denti. trasuda odio da ogni particella subatomica. se potesse cancellarmi dall’universo pigiando sul tasto delete, lo farebbe.
arrivo al lavoro, parcheggio e salgo a piedi fino a che non arrivo a quelle  storie di metallo biancorosse piantate nel cemento che servono per non far entrare i motorini. da di là sopraggiunge spedita una tipetta sui venti, frangetta scalata oltre la soglia dell’irritante, ancora occhiale scuro di incomprensibile design, viene avanti verso me frenetica dritta come un fuso. manco fosse quotata in borsa. ci sarei subito io ma mi fermo per galanteria e la lascio passare per prima. lei manco rallenta anzi mi sbatte leggermente addosso e manco dice scusa, figurati poi se dice grazie per la mia cortesia.
ehh no. ehh no nno nno!
“ooohhh! anche meno eh! che poi non siamo poi mica così tanto fighe, sai?”
mocchè. niente. procede indifferente come se fossi azotossigeno 78:21. non ha parlato nessuno. nessuno l’ha lasciata passare per prima. e se qualcuno c’era, beh, era dovuto alla miss frangetta scalata del cazzo.
vorrei tornare indietro alla macchina, rifare il percorso al contrario con la speranza di beccare ancora in tempo la mia donna oraria. mi precipiterei fuori dall’opel e le scriverei ti amo sulla sabbia. ma qua c’è solo cemento. e allora vado a lavorare.