lunedì 25 giugno 2012

come dormi? come dormi, la notte? capitolo 18: per chi suona la campana

“therefore, send not to know for whom the bell tolls….

maggio 1998

(della saggia e santa ignoranza di alcisa)

ogni qualvolta parlo di ignoranza, ebbene, è sottinteso un senso nobile e molto personale del termine, che mi riesce difficile spiegare. non c’è niente di dispregiativo nella mia concezione del termine ignoranza, in particolare quando pronunciato in certi contesti.  e siccome non potrei mai trovare le parole giuste (magari ernest hemingway o john fante ci riuscirebbero, loro) allora boh, dico io, magari potrei farmi capire citando degli episodi di vita, dei fatti vissuti. ecco, per farvi un esempio rappresentativo, tanto per dirne una su tutte, vi farei davvero conoscere alcisa di zola predosa, uno che dice il cortello, la gabina, l’intestino grasso, devo dirci-devo darci-devo parlarci (avanti ad libitum) sia al femminile sia al maschile, pensavo fosti te, pensavo foste lei, e poi eccetera. uno che quel giorno, di ritorno dalla mattanza di trote ai laghetti mingulèin di sant’agata bolognese, lui al timone del ferro e io all’altro lato, se ne viene fuori con
“senti teè.. ma secondo te, te che hai studiato, noi due, tutto il vino che abbiamo bevuto, ce la riempiamo una piscina?”
(questione di elevato spessore filosofico esistenziale, indubbiamente)
“mah.. la vedo dura. tieni conto che una boccia sono 750 emme-elle. anche se arrotondiamo al litro, considera che un metro cubo equivale a mille litri e”
“ehh?! ma che cazzo dici! un metro cubo ci sono mille litri!”
“beh, sì. esattamente”
“ma che cazzo dici! mille litri, un metro cubo?!” (dal tono però manifesta i primi dubbi sulla sua discutibile presa di posizione)
“oh, allora dimmi mo te quanto. quanti litri, secondo te, in un metro cubo?”
“quant’è un metro cubo? com’è?”
“vedilo un metro per un metro di base, altezza di un metro” (mentre parlo glielo disegno nel vuoto, ‘chè altrimenti auguri caromio)
“eh. un metroooo.. un metrooo.. alto un metro. mo sè, mille litri. saran cento a dir tanto”
ecco, questo è alcisa. che adesso mi chiede
“oh, ma teè poi, la vedi ancora quella figa di merda, la marocchina?”
“eh sì eh, voltaire….”
“ma allora state insieme. o no?”
“boh, più o meno, sì. è che mi sa che con l’ex non ha ancora ben chiarito la situazione..”
“ma c’ha ancora quell’altro?”
“non più, cioè, lei lo ha mollato, ma è come se fossero in sospeso, almeno secondo lui, che non accetta la situazione, e che ovviamente non sa di me”
“che figa di merda…”
“oh, e perché? sta cercando di gestire la cosa al meglio che la situazione consente. ci sta rendendo le cose complicate, il tipo dico, tu non sai dei casini che”
“io so un cazzo, ma mi frega il cazzo di te, di quella marocchina, e dell’altro sèmo. ma te ‘stattento, dòtòre. quello che leilì oggi fa a quel tipo, magari poi domani lo può fare a te”
tiro giù del tutto il vetro alla mia destra e mi accendo una dianablù. guardo fuori la campagna che con la primavera ci corre al contrario ai novanta
“no. a me non succederà. a me, no”
finisco la paglia e mi metto a fare il giochino dell’onda con la mano fuori dal finestrino
no. non succederà mai, a me

…it tolls for thee”

prima di arrivare da zingèin il solfanaio, con cui baratteremo trote con qualche bottiglia trista di vari tagli di uva buona giusto per contribuire a riempire discutibili metri cubi di piscina, tra una sosta e l’altra nei vari bar sport sulla via emilia, tra campari e frizzantini, mi racconta dell’ultima pompa che s’è fatto fare da quella busona in via rigosa.

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