“therefore, send not to know
for whom the bell tolls….
maggio 1998
(della saggia
e santa ignoranza di alcisa)
ogni qualvolta
parlo di ignoranza, ebbene, è sottinteso un senso nobile e molto personale del
termine, che mi riesce difficile spiegare. non c’è niente di dispregiativo
nella mia concezione del termine ignoranza, in particolare quando pronunciato
in certi contesti. e siccome non potrei
mai trovare le parole giuste (magari ernest hemingway o john fante ci
riuscirebbero, loro) allora boh, dico io, magari potrei farmi capire citando
degli episodi di vita, dei fatti vissuti. ecco, per farvi un esempio
rappresentativo, tanto per dirne una su tutte, vi farei davvero conoscere
alcisa di zola predosa, uno che dice il cortello, la gabina, l’intestino
grasso, devo dirci-devo darci-devo parlarci (avanti ad libitum) sia al
femminile sia al maschile, pensavo fosti te, pensavo foste lei, e poi eccetera.
uno che quel giorno, di ritorno dalla mattanza di trote ai laghetti mingulèin
di sant’agata bolognese, lui al timone del ferro e io all’altro lato, se ne
viene fuori con
“senti teè..
ma secondo te, te che hai studiato, noi due, tutto il vino che abbiamo bevuto,
ce la riempiamo una piscina?”
(questione
di elevato spessore filosofico esistenziale, indubbiamente)
“mah.. la
vedo dura. tieni conto che una boccia sono 750 emme-elle. anche se arrotondiamo
al litro, considera che un metro cubo equivale a mille litri e”
“ehh?! ma
che cazzo dici! un metro cubo ci sono mille litri!”
“beh, sì.
esattamente”
“ma che
cazzo dici! mille litri, un metro cubo?!” (dal tono però manifesta i primi
dubbi sulla sua discutibile presa di posizione)
“oh, allora
dimmi mo te quanto. quanti litri, secondo te, in un metro cubo?”
“quant’è un
metro cubo? com’è?”
“vedilo un
metro per un metro di base, altezza di un metro” (mentre parlo glielo disegno
nel vuoto, ‘chè altrimenti auguri caromio)
“eh. un
metroooo.. un metrooo.. alto un metro. mo sè, mille litri. saran cento a dir
tanto”
ecco, questo
è alcisa. che adesso mi chiede
“oh, ma teè
poi, la vedi ancora quella figa di merda, la marocchina?”
“eh sì eh,
voltaire….”
“ma allora
state insieme. o no?”
“boh, più o
meno, sì. è che mi sa che con l’ex non ha ancora ben chiarito la situazione..”
“ma c’ha
ancora quell’altro?”
“non più,
cioè, lei lo ha mollato, ma è come se fossero in sospeso, almeno secondo lui, che
non accetta la situazione, e che ovviamente non sa di me”
“che figa di
merda…”
“oh, e
perché? sta cercando di gestire la cosa al meglio che la situazione consente.
ci sta rendendo le cose complicate, il tipo dico, tu non sai dei casini che”
“io so un cazzo,
ma mi frega il cazzo di te, di quella marocchina, e dell’altro sèmo. ma te
‘stattento, dòtòre. quello che leilì oggi fa a quel tipo, magari poi domani lo
può fare a te”
tiro giù del
tutto il vetro alla mia destra e mi accendo una dianablù. guardo fuori la
campagna che con la primavera ci corre al contrario ai novanta
“no. a me
non succederà. a me, no”
finisco la
paglia e mi metto a fare il giochino dell’onda con la mano fuori dal finestrino
no. non
succederà mai, a me
…it tolls for thee”
prima di arrivare
da zingèin il solfanaio, con cui baratteremo trote con qualche bottiglia trista
di vari tagli di uva buona giusto per contribuire a riempire discutibili metri
cubi di piscina, tra una sosta e l’altra nei vari bar sport sulla via emilia,
tra campari e frizzantini, mi racconta dell’ultima pompa che s’è fatto fare da
quella busona in via rigosa.
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